Con la scomparsa di Abu Bashir la città ha perso una parte della tipica generosità damascena, che un tempo era consueta. Oggi, se ne parli a bambini e ragazzi, pensano che tu stia raccontando loro una favola. Ma il ristorante di Abu Bashir è esistito fino all’inizio degli anni Settanta. La mattina presto si formavano già due file davanti alla porta, una composta dagli ospiti che attendevano pazienti un posto libero e un’altra fatta di soli bambini, che se ne stavano lì con la scodella in mano, pronti a ritirare la loro porzione di fave. I damasceni amavano questa colazione sostanziosa ed economica.
La fava, chiamata anche « fagiolo dei cavalli », « fagiolo dei campi », « fagiolo del bestiame », è un’antichissima pianta dell’area mediterranea. Gli egizi, i romani, i greci e gli ebrei la conoscevano come alimento fin dal 1000 a.C. Ancora oggi prospera in numerose varietà; è poco costosa e molto nutriente. […]
Una cosa è certa: questo legume è un concentrato di energia, ma purtroppo, a seconda della delicatezza degli stomaci, può risultare difficile o difficilissimo da digerire. In più la preparazione è lunga e faticosa, perciò i damasceni si sobbarcano di rado questo lavoro. Preferiscono prendere le fave già pronte nei piccoli ristoranti che ne preparano grandi quantità durante la notte e le hanno già esaurite entro mezzogiorno, cosa che succede immancabilmente tutti i giorni. Ancora oggi questa pietanza si chiama ful mudammas. Mudammas significa “sepolte nella cenere calda”, un metodo di cottura tra i più antichi, rispettoso dell’ambinete e benefico per il gusto.
Un tempo i ristoranti riempivano d’acqua e di fave vasi di terracotta resistenti al calore (simili a grandi giare), li sigillavano bene e ogni sera li portavano agli hammam del loro quartiere. I fuochisti seppellivano i vasi nelle ceneri calde e di quando in quando, durante la notte, ci versavano sopra altre ceneri calde, perché il fuoco della grande caldaia di un hammam bruciava quasi venti ore al giorno.
Per ogni vaso il fuochista riceveva qualche piastra, arrotondando così il suo magro reddito. Per i ristoranti era il sitema più comodo ed economico: la mattina presto ritiravano i vasi, che il fuochista aveva ripulito dalla cenere. Le fave sono ottime quando vengono cotte in questo modo, a calore moderato. Abu Bashir metteva sempre le sue numerose giare nella cenere dell’hammam al Bakri, di cui abbiamo parlato prima. Si dice che da giovane avesse giurato di non mandare mai a casa affamato nessuno dei suoi ospiti. Perciò chi andava da lui riceveva un grande piatto pieno di fave dal profumo delizioso e le consumava con una tazza di tè caldo, ai tavolini stipati del ristorante. Se una volta svuotato il piatto non era ancora sazio, poteva ritornare al bancone e dire sallih, che significa più o meno “correggi”, “rimedia”. Così riceveva una seconda porzione gratuita, un po’ più piccola della prima ma sempre con condimenti e spezie freschi. Se necessario, Abu Bashir serviva anche una seconda “correzione”. La terza non l’avrebbe mandata giù nemmeno un ippopotamo.
Rafik Shami, La città che profuma di coriandolo e cannella (pp. 78-79)
Nel video un ristoratore di fave ad Aleppo pochi anni fa. Le parole di Rafik Shami si rispecchiano nella fila e nell’intensità di lavoro di questo negozietto per un piatto così semplice .
RICETTE CON FAVE PROPOSTE DA NOI
Posted by Profumi di Damasco on Mittwoch, 3. Juli 2013
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